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SICUREZZA DELLE PROTESI AL SENO: LA GEOMETRIA DELLE SUPERFICI È FONDAMENTALE

08 maggio 2024 — 4 minuti di lettura

La ricerca, condotta in collaborazione tra Humanitas e Politecnico di Milano, svela il ruolo chiave della micro-geometria delle protesi al seno nell’influenzare la risposta immunitaria nelle pazienti, con implicazioni rilevanti per lo sviluppo di dispositivi sempre più sicuri e per migliorare la qualità della vita delle pazienti, in primis le donne che ricorrono alla chirurgia ricostruttiva dopo un percorso oncologico.

La forma della superficie di una protesi è in grado di interagire in modi inaspettati con il sistema immunitario: micro avvallamenti o conche utilizzati per rendere la protesi più ruvida e stabile possono intrappolare le cellule del sistema immunitario, generando uno stato infiammatorio. La scoperta è stata possibile grazie a un approccio multidisciplinare che ha coinvolto chirurghi, ingegneri, biofisici ed immunologi.

I dati emersi nello studio aggiungono un elemento inedito – quello della geometria microscopica – alla comprensione dei meccanismi infiammatori legati alle protesi: fino a oggi l’ipotesi degli scienziati era che l’infiammazione dipendesse dai materiali utilizzati, dalla presenza di infezioni batteriche o dalla frizione meccanica tra il corpo estraneo e i tessuti circostanti. Lo studio si è concentrato sulle protesi per il seno ma le sue conclusioni sono rilevanti per tutti i dispositivi medici sottopelle.

A condurre la ricerca sono stati il dott. Valeriano Vinci, ricercatore di Humanitas University e chirurgo presso l’Unità di Chirurgia Plastica di IRCCS Istituto Clinico Humanitas diretta dal Prof. Marco Klinger, il prof. Gerardus Johannes Janszen, docente del Politecnico di Milano, la Dr.ssa Cristina Belgiovine dell’Università di Pavia e il prof. Roberto Rusconi, professore associato di fisica applicata presso Humanitas University e responsabile del laboratorio di biofisica e microfluidica di Humanitas.

Lo studio è stato pubblicato su Life Science Alliance ↗ – la rivista Open Access nata da tre realtà di eccellenza: EMBO, Rockefeller University e Cold Spring Harbor Laboratory – ed è stata possibile grazie al sostegno di un finanziamento PRIN del Ministero della Ricerca.

Protesi al seno e risposta infiammatoria

Le protesi mediche sono strumenti di cura fondamentali: ci tengono in vita, come nel caso dei peacemaker, ci permettono di ricominciare a camminare e muoverci dopo traumi o malattie articolari, e ci aiutano a riappropriarci della nostra identità, come spesso accade nel caso delle protesi estetiche e ricostruttive del seno, cui molte donne fanno ricorso dopo la chirurgia oncologica.

Ma le protesi sono anche corpi estranei che devono essere accolti all’interno di un organismo abituato a rispondere alle possibili minacce che provengono dall’esterno. Ecco perché possono generare localmente una risposta infiammatoria. Quando questa risposta è eccessiva, può aumentare il rischio di sviluppare malattie infiammatorie, autoimmuni, o anche tumori, soprattutto quelli associati a condizioni di infiammazione cronica. È il caso, ad esempio, del Linfoma anaplastico a grandi cellule (noto come ALCL), un linfoma molto raro e con buoni tassi di guarigione – purché identificato per tempo – la cui incidenza è però lievemente più alta nelle pazienti con protesi al seno macro-testurizzate, una tipologia di protesi caratterizzata da una superficie più ruvida, che è stata poi tolta dal commercio proprio per questa correlazione.

«Abbiamo scoperto che l’elemento chiave nel determinare la risposta infiammatoria, sia cellulare che molecolare, non era la presenza o meno di infezioni batteriche, quanto piuttosto la struttura geometrica superficiale delle diverse protesi – afferma il prof. Roberto Rusconi –. Nel caso delle protesi macro-testurizzate, che presentano cioè superfici con avvallamenti particolarmente pronunciati e spigolosi, come dei veri e propri pozzetti micrometrici, l’infiammazione è maggiore. Mentre le protesi lisce e quelle micro-testurizzate, ovvero solo lievemente “ruvide” - una proprietà importate per mantenerle stabili e ridurre il rischio di altre complicanze - hanno tassi bassi di infiammazione e si confermano sicure».

Per comprendere meglio il motivo di questa reazione infiammatoria, i ricercatori hanno riprodotto fedelmente la superficie delle protesi in laboratorio e hanno studiato come le cellule immunitarie reagiscono in un contesto controllato. L’esperimento è stato possibile grazie alla collaborazione con il gruppo del prof. Gerardus Janszen e del prof. Luca di Landro del Politecnico di Milano.

Attraverso l’impiego di un microscopio elettronico si sono valutate le dimensioni delle cavità delle protesi e queste sono state riprodotte mediante tecniche differenti in funzione della superficie delle protesi.
Per la replica delle superfici macro-testurizzate viene versata una resina di PDMS (Polidimetilsilossano) all’interno di pozzetti, normalmente utilizzati per la coltura in vitro. Dopo una parziale reticolazione della resina, sulla superficie vengono distribuiti omogeneamente cristalli di sale, la cui forma e dimensione determina la rugosità finale.

Per la riproduzione delle superfici micro-testurizzate, si è utilizzata la tecnica della replica (coating emulation). Partendo dalla superficie di una protesi preesistente, eventualmente espiantata, o da una superficie di ruvidezza adeguata, vengono realizzate repliche, in negativo, della superficie micro-texturizzata impiegando resina termoindurente a bassa viscosità (ad es. epossidica). Repliche in resina in forma di dischi aventi diametro pari a quello dei pozzetti vengono posizionate a coprire il fondo di contenitori cilindrici dello stesso diametro. Il PDMS viene versato in tali contenitori e portato a completamento della reticolazione per ottenere controrepliche (in positivo) in elastomero siliconico nel numero desiderato che riproducono fedelmente la superficie di origine e che vengono quindi estratte dai contenitori e posizionate sul fondo dei pozzetti destinati ai successivi test.

Le superfici lisce vengono ottenute versando direttamente il PDMS nel fondo dei pozzetti e portando a completa reticolazione.

«Gli studi condotti in laboratorio hanno confermato quanto osservato nei campioni clinici. Non solo, ma ci hanno permesso di vedere cosa stava realmente accadendo: le cellule immunitarie, ed in particolare i linfociti T, vengono intrappolate all’interno dei pozzetti presenti sulla superficie delle protesi macro-testurizzate. In questa condizione di confinamento, rilasciano segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario, le citochine appunto, caratteristici di uno stato di infiammazione cronica», spiegano Roberto Rusconi e Valeriano Vinci, che concludono: «Lo studio dà un messaggio positivo sulla sicurezza delle protesi micro-testurizzate e ha un alto valore traslazionale: grazie a questo lavoro abbiamo messo a punto una vera e propria piattaforma tecnologica per testare le superfici di altre tipologie di protesi e dispositivi medici».